sabato 13 settembre 2014
A SILVIA
A SILVIA
di Giacomo LEOPARDI
di Giacomo LEOPARDI
quel tempo della tua vita mortale,
quando beltà splendea
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
e tu, lieta e pensosa, il limitare
di gioventù salivi?
Sonavan le quiete
stanze, e le vie d'intorno,
al tuo perpetuo canto,
allor che all'opre femminili intenta
sedevi, assai contenta
di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
così menare il giorno.
Io gli studi leggiadri
talor lasciando e le sudate carte,
ove il tempo mio primo
e di me si spendea la miglior parte,
d’in su i veroni del paterno ostello
porgea gli orecchi al suon della tua voce,
ed alla man veloce
che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
le vie dorate e gli orti,
e quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
quel ch’io sentiva in seno.
Che pensieri soavi,
che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
la vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
un affetto mi preme
acerbo e sconsolato,
e tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
perché non rendi poi
quel che prometti allor? perché di tanto
inganni i figli tuoi?
Tu pria che l’erbe inaridisse il verno,
da chiuso morbo combattuta e vinta,
perivi, o tenerella. E non vedevi
il fior degli anni tuoi;
non ti molceva il core
la dolce lode or delle negre chiome,
or degli sguardi innamorati e schivi;
né teco le compagne ai dì festivi
ragionavan d’amore.
Anche perìa fra poco
la speranza mia dolce: agli anni miei
anche negaro i fati
la giovinezza. Ahi come,
come passata sei,
cara compagna dell’età mia nova,
mia lacrimata speme!
Questo è il mondo? questi
i diletti, l’amor, l’opre, gli eventi,
onde cotanto ragionammo insieme?
questa la sorte delle umane genti?
All’apparir del vero
tu, misera, cadesti: e con la mano
la fredda morte ed una tomba ignuda
mostravi di lontano.
martedì 2 settembre 2014
UNA CASETTA MIA
UNA CASETTA MIA
di Giuseppe ZUCCA
di Giuseppe ZUCCA
Io solo desidero questo
(non è un desiderio onesto?)
solo una casa mia,
dove ogni cosa sia
mia, dove, o sia bello o sia brutto,
sia mio tutto;
che se ci pianto un chiodo,
càspita! lo pianti a mio modo,
dove e come mi pare:
e non mi abbia a saltare
fuori un villanzone
e dirmi: "Ohè! Son io il padrone!
Che fa lì quel chiodo? Via!
via: la parete è mia!".
No! Mio! Mio tutto!
Tutto! Bello e brutto!
Ah, ma ti giuro, fratello,
tutto sarebbe bello!
Piccola, per carità!
Io odio le enormità.
Piccola; un sol piano;
embrici rossi; che di lontano
lo scoprissi il mio tetto,
con qualche comignoletto!
Stanze, non grandi: chiare.
Pensa: le vorrei decorare
con queste mie mani:
con certi motivi francescani,
certi motivetti curiosi....
Ti meraviglia ch'io osi?
Oh! Se oserei! Magari!
Ma non entriamo in particolari.
Dunque. T'ho, credo, già detto
che la mia stanza da letto
con due finestre almeno,
dovrebbe guardare il pieno
a oriente,
perché il sole nascente
la salutasse al più presto.
Nient'altro che questo.
E bada: le vecchie persiane
ci vorrei, sane, paesane,
tinte d'un bel verde brillante...
Ah! Due finestre a levante!...
E ci vorrei un portichetto.
Oh, di qui a lì, piccoletto:
con le sue arcatelle
pacate e snelle,
che fosse aperto a occidente.
Che ci farei? Niente...
ci vorrei aspettare,
ci vorrei assaporare,
mentre il crepuscolo imbruna,
ad una ad una
tutte le dolcezze
tutte le carezze
del giorno che muore.
E ci vorrei una torre.
Non ridere! Eh no! Ci corre!
Ma no! Una torretta,
piccola, su un lato, alta e stretta.
Come uno stelo
slanciato verso il cielo:
e che ci avesse lassù
una terrazzina, non più
larga di così, scoperta,
tutta aperta, tutta aperta,
dove nelle notti chiare
io mi potessi sdraiare
supino e così contemplare,
e così spalancare
gli occhi e l'anima, così
che mi sentissi qui
dentro, tremando e lene,
con le sue immense ansie serene,
tutto il cielo stellato!
Tutto il gran cielo stellato!
AMA LA TUA CASA
Non lagnarti, ragazzo, se la nostra mensa ti sembra povera e monotona, e la nostra mobilia manca di eleganza, e in casa nostra non si danno ricevimenti né feste.
Non fare codesta faccia infelice quando la pioggia ti costringe a rimanere in casa qualche ora di più. Sentila e vivila questa casa, finché ci sei, finché ci siamo.
Ti assicuro che un giorno la ripenserai con animo non indifferente, e ti rincrescerà di non averla abbastanza amata, neppure abbastanza veduta.
Tutte le cose di casa nostra ti compariranno in un'atmosfera di sogno; e ti sembrerà strano di non esserti accorto che anche le più modeste avevano un volto ed una anima.
Anche per te codesta smania di partire diventerà voglia di ritornare.
Voglia vana, voglia malinconica, ma non necessariamente penosa: penoso rimpianto è quando rivorremmo cose nostre e le abbiamo gettate o disprezzate.
Non ti dico che tu rimanga, che tu debba coltivar l'idea del rimanere: le leggi della vita si riassumono nel comandamento di partire, di ripartire.
Scavalca, poiché è fatale, il muricciolo del piccolo orto, ove hai giocato bambino; ma gettagli, prima di allontanarti, un'occhiata di simpatia, vedilo bene com'è.
Lo rivedrai più d'una volta nelle tue notti; e potrà essere dolcezza o amarezza, consolazione o desolazione; poiché le cose defunte conservano la faccia di quando erano vive, tutta impressa dall'affetto, più o meno amichevole, che noi abbiamo loro dedicato.
I fantasmi delle cose defunte sempre ci seguono, pronti a ricomparirci quando meno ci pensiamo.
Carichi di cruccio i fantasmi delle cose che abbiamo ingiustamente disprezzato; buoni, perfino sorridenti, i fantasmi delle cose che abbiamo amate.
Le cose che avrai amate, ragazzo mio, ti riameranno.
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