UNA CASETTA MIA
di Giuseppe ZUCCA
di Giuseppe ZUCCA
Io solo desidero questo
(non è un desiderio onesto?)
solo una casa mia,
dove ogni cosa sia
mia, dove, o sia bello o sia brutto,
sia mio tutto;
che se ci pianto un chiodo,
càspita! lo pianti a mio modo,
dove e come mi pare:
e non mi abbia a saltare
fuori un villanzone
e dirmi: "Ohè! Son io il padrone!
Che fa lì quel chiodo? Via!
via: la parete è mia!".
No! Mio! Mio tutto!
Tutto! Bello e brutto!
Ah, ma ti giuro, fratello,
tutto sarebbe bello!
Piccola, per carità!
Io odio le enormità.
Piccola; un sol piano;
embrici rossi; che di lontano
lo scoprissi il mio tetto,
con qualche comignoletto!
Stanze, non grandi: chiare.
Pensa: le vorrei decorare
con queste mie mani:
con certi motivi francescani,
certi motivetti curiosi....
Ti meraviglia ch'io osi?
Oh! Se oserei! Magari!
Ma non entriamo in particolari.
Dunque. T'ho, credo, già detto
che la mia stanza da letto
con due finestre almeno,
dovrebbe guardare il pieno
a oriente,
perché il sole nascente
la salutasse al più presto.
Nient'altro che questo.
E bada: le vecchie persiane
ci vorrei, sane, paesane,
tinte d'un bel verde brillante...
Ah! Due finestre a levante!...
E ci vorrei un portichetto.
Oh, di qui a lì, piccoletto:
con le sue arcatelle
pacate e snelle,
che fosse aperto a occidente.
Che ci farei? Niente...
ci vorrei aspettare,
ci vorrei assaporare,
mentre il crepuscolo imbruna,
ad una ad una
tutte le dolcezze
tutte le carezze
del giorno che muore.
E ci vorrei una torre.
Non ridere! Eh no! Ci corre!
Ma no! Una torretta,
piccola, su un lato, alta e stretta.
Come uno stelo
slanciato verso il cielo:
e che ci avesse lassù
una terrazzina, non più
larga di così, scoperta,
tutta aperta, tutta aperta,
dove nelle notti chiare
io mi potessi sdraiare
supino e così contemplare,
e così spalancare
gli occhi e l'anima, così
che mi sentissi qui
dentro, tremando e lene,
con le sue immense ansie serene,
tutto il cielo stellato!
Tutto il gran cielo stellato!
AMA LA TUA CASA
Non lagnarti, ragazzo, se la nostra mensa ti sembra povera e monotona, e la nostra mobilia manca di eleganza, e in casa nostra non si danno ricevimenti né feste.
Non fare codesta faccia infelice quando la pioggia ti costringe a rimanere in casa qualche ora di più. Sentila e vivila questa casa, finché ci sei, finché ci siamo.
Ti assicuro che un giorno la ripenserai con animo non indifferente, e ti rincrescerà di non averla abbastanza amata, neppure abbastanza veduta.
Tutte le cose di casa nostra ti compariranno in un'atmosfera di sogno; e ti sembrerà strano di non esserti accorto che anche le più modeste avevano un volto ed una anima.
Anche per te codesta smania di partire diventerà voglia di ritornare.
Voglia vana, voglia malinconica, ma non necessariamente penosa: penoso rimpianto è quando rivorremmo cose nostre e le abbiamo gettate o disprezzate.
Non ti dico che tu rimanga, che tu debba coltivar l'idea del rimanere: le leggi della vita si riassumono nel comandamento di partire, di ripartire.
Scavalca, poiché è fatale, il muricciolo del piccolo orto, ove hai giocato bambino; ma gettagli, prima di allontanarti, un'occhiata di simpatia, vedilo bene com'è.
Lo rivedrai più d'una volta nelle tue notti; e potrà essere dolcezza o amarezza, consolazione o desolazione; poiché le cose defunte conservano la faccia di quando erano vive, tutta impressa dall'affetto, più o meno amichevole, che noi abbiamo loro dedicato.
I fantasmi delle cose defunte sempre ci seguono, pronti a ricomparirci quando meno ci pensiamo.
Carichi di cruccio i fantasmi delle cose che abbiamo ingiustamente disprezzato; buoni, perfino sorridenti, i fantasmi delle cose che abbiamo amate.
Le cose che avrai amate, ragazzo mio, ti riameranno.
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