martedì 31 marzo 2015

LA PRIMAVERA

LA PRIMAVERA
              

Quando il cielo ritorna sereno
come l'occhio d'una bambina,
la primavera si sveglia. E cammina




per le mormoranti foreste,
sfiorando appena
con la sua veste
color di sole
i bei tappeti di borraccina.



Ogni filo d'erba reca un diadema,
ogni stilla trema.
Qualche gemma sboccia
un po' timorosa,
e porge la boccuccia color di rosa




per bere una goccia
di rugiada.
Nei casolari solitari
i vecchi si fanno sulla soglia
e guardano la terra
che germoglia.



A notte le raganelle
cantano la serenata per le piccole stelle.
I balconi si schiudono
perché la notte è mite,
e qualcuno d'oblia
ad ascoltare quel che voi dite
alle piccole stelle,
o raganelle
malate di malinconia.





mercoledì 18 marzo 2015

FAVOLETTA ALLA MIA BAMBINA

FAVOLETTA ALLA MIA BAMBINA



Non pianger, bimba, non t' accrescer pene;
da sé ritorna, se torna, il tuo bene.




Un merlo avevo coi suoi occhi d' oro
cerchiati, col palato e il becco d' oro;






cui di pinoli e di vermetti in serbo
nascondevo un tesoro.





Schivo con gli altri; con me, di ritorno
dalla scuola, festoso; e tutte, io dico,
intendere sapeva il caro amico
le mie parole; onde il dolce e l' acerbo
di due anni a lui dissi, a lui soltanto.


E un giorno mi fuggì; fuor del poggiolo




mi fuggì nella corte. Alto il mio pianto,

alto suonava; alle finestre intorno
corse la gente ad affacciarsi; invano
lo perseguivo, il caro nome invano
ripetevo; di tetto in tetto errando,
più sempre in vista piccolo e lontano,
irridere pareva al mio
dolore, al disperato dolor mio.



Quel che ho sofferto non puoi bimba tu
saperlo; tutto era perduto; e quando
io non piangevo, io non speravo più,
l' alato amico ritornò egli solo
alla sua casa, all' esca di un pinolo.



IL CANTO DEL MERLO




PICCOLO COMMENTO

In modo suasivo e dolce il padre vuole esortare la figlioletta alla serenità nella vita: i dolori non mancheranno, non mancheranno le incomprensioni e le disillusioni, ma non bisogna mai disperare.
Talora, quando meno lo speriamo, il bene da noi pianto perduto ritorna.


domenica 15 marzo 2015

LA CAVALLINA STORNA





LA CAVALLINA STORNA


Giovanni Pascoli da giovane


 Nella Torre il silenzio era già alto.
Sussurravano i pioppi del Rio Salto.

I cavalli normanni alle lor poste
frangean la biada con rumor di croste.

 Là in fondo la cavalla era, selvaggia,
nata tra i pini su la salsa spiaggia;

che nelle froge avea del mar gli spruzzi
ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi.

Con su la greppia un gomito, da essa
era mia madre; e le dicea sommessa:

“O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;

tu capivi il suo cenno ed il suo detto!
Egli ha lasciato un figlio giovinetto;

il primo d’otto tra miei figli e figlie;
e la sua mano non toccò mai briglie.

Tu che ti senti ai fianchi l’uragano,
tu dài retta alla sua piccola mano.

Tu ch’hai nel cuore la marina brulla,
tu dài retta alla sua voce fanciulla”.

La cavalla volgea la scarna testa
verso mia madre, che dicea più mesta:

“O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;

lo so, lo so, che tu l’amavi forte!
Con lui c’eri tu sola e la sua morte.

O nata in selve tra l’ondate e il vento,
tu tenesti nel cuore il tuo spavento;

sentendo lasso nella bocca il morso,
nel cuor veloce tu premesti il corso:

adagio seguitasti la tua via,
perché facesse in pace l’agonia...”

La scarna lunga testa era daccanto
al dolce viso di mia madre in pianto.

 “O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;

oh! due parole egli dovè pur dire!
E tu capisci, ma non sai ridire.

Tu con le briglie sciolte tra le zampe,
 con dentro gli occhi il fuoco delle vampe,

con negli orecchi l’eco degli scoppi,
seguitasti la via tra gli alti pioppi:

lo riportavi tra il morir del sole,
perché udissimo noi le sue parole”.

Stava attenta la lunga testa fiera.
Mia madre l’abbracciò su la criniera.

“O cavallina, cavallina storna,
portavi a casa sua chi non ritorna!

a me, chi non ritornerà più mai!
Tu fosti buona... ma parlar non sai!

Tu non sai, poverina; altri non osa.
Oh! ma tu devi dirmi una una cosa!

Tu l’hai veduto l’uomo che l’uccise:
esso t’è qui nelle pupille fise.

 Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome.
E tu fa cenno. Dio t’insegni, come”.

Ora, i cavalli non frangean la biada:
dormian sognando il bianco della strada.

La paglia non battean con l’unghie vuote:
 dormian sognando il rullo delle ruote.

Mia madre alzò nel gran silenzio un dito:
disse un nome... Sonò alto un nitrito.



Il padre del Poeta, Ruggero Pascoli, mentre tornava la sera del 10 agosto 1867 a casa, dal mercato di Cesena, in un calessino tirato da una cavalla storna, fu ucciso con una fucilata sparatagli da un ignoto assassino.
La cavalla, non ancora ben domata, parve comprendere la sciagura ed anziché darsi ad una corsa sfrenata, ricondusse a casa adagio il morente all'ultimo abbraccio dei suoi cari.
Da quel giorno  la "cavallina storna" fu sacra alla desolata famiglia degli orfani e della loro madre, la quale una volta scende nella scuderia ad interrogare la bestia sull'assassino, il cui nome correva sulla bocca di tutti, senza che nessuno osasse denunciarlo.
Al nome di costui, pronunciato con la richiesta d'una conferma, la cavallina risponde con un nitrito affermativo.
Il colpevole non fu però mai denunciato e punito.